Ceramiche archeologiche: dalla frammentazione alla ricomposizione
Il restauro di una ceramica archeologica è come comporre un puzzle che il tempo ha sparpagliato nel terreno. Ogni frammento conserva tracce uniche: bordi combacianti, segni di tornitura, resti di pigmenti o incrostazioni.
Fase diagnostica: si catalogano e si documentano tutti i frammenti, si identificano gli impasti e si verificano deformazioni dovute a cottura o schiacciamento nel terreno. Le indagini ai raggi X o la fotogrammetria 3D aiutano a comprendere la geometria originale.
Progettazione: definizione delle sequenze di incollaggio, scelta di adesivi reversibili (generalmente resine epossidiche modificate o poliuretaniche a bassa viscosità). Si pianifica la ricostruzione in modo che i nuovi elementi non falsifichino l’originale.
Intervento: ricomposizione manuale o con supporti magnetici, reintegrazione di piccole lacune con stuccature in malte sintetiche colorate.
Verifica e monitoraggio: test meccanici di resistenza, controlli di variazione cromatica e schede fotografiche periodiche.
La ricomposizione è un atto poetico e scientifico insieme: “Il restauratore non incolla pezzi, ma ricuce una memoria.”